Perché non siamo mai contenti? Una fiaba ce lo spiega

A volte si ha la sensazione che manchi sempre qualcosa…

03/03/2021

A volte si ha la sensazione che manchi sempre qualcosa… Una relazione va bene ma manca di divertimento e passione; al lavoro c’è un buon stipendio ma non quanto si vorrebbe guadagnare… e così via, come se mancasse un senso di PIENEZZA a quello che si sta facendo.

E questo “problema” si presenta non quando ci sono grandi problemi da affrontare ma quando le cose iniziano ad andare meglio.


Cosa accade quindi? Questa fiaba può aiutare a comprendere (p.s. può sembrare lunga ma la lettura richiede solo 4 minuti).


C’era una volta un re molto triste che aveva un servo, e questo servo, come ogni servo di re triste, era molto felice. Aveva sempre un grande sorriso sul volto disteso, e nei confronti della vita un atteggiamento sereno ed entusiasta. Un giorno il re lo fece chiamare.                            

“Paggio disse “qual è il tuo segreto?”                         

“Quale segreto, Maestà?”                                 

“Qual è il segreto della tua allegria?”

“Non c’è nessun segreto Maestà”

“Non mentire paggio, perché sei sempre sereno e allegro?”

“Signore non ho motivo di essere triste. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ci forniscono cibo e vestiti e inoltre la vostra maestà ogni tanto mi premia con qualche moneta e possiamo levarci qualche capriccio. Come potrei non essere felice?”

Il re continuava a non capire come quel paggio potesse essere così felice vivendo di cose prese in prestito, indossando vestiti dismessi e nutrendosi degli avanzi dei cortigiani.

Quando riuscì a calmarsi, chiamò il consigliere più saggio e gli raccontò la conversazione di quella mattina.

“Perchè quell’uomo è felice?”

“Ah, maestà, il fatto è che lui è fuori dal giro”

“Fuori dal giro?”

“Esatto”.

“E questo lo rende felice?”

“No signore, questo non lo rende infelice”.

“Vediamo se ho capito. Stare nel giro ti rende infelice?”

“Esatto”.

“E lui non è dentro al giro”. “E come ha fatto a uscire?”

“Non è mai entrato”.

“Ma di che giro si tratta?”

“Il giro del novantanove”

“Non ci capisco niente davvero” disse il re

“Potrai capirlo soltanto se lasci che te lo dimostri con i fatti”

“E come?”

“Facendo entrare il tu paggio nel giro”

“Si costringiamolo a entrare”

“No maestà, nessuno può essere costretto a entrare nel giro”

“Allora dovremmo tendergli un tranello”

“Non occorre maestà. Se gli diamo l’opportunità ci entrerà da solo”

“Ma lui non si renderà conto che diventerà una persona infelice?”

“Sì, se ne renderà conto”

“Allora non ci entrerà”

“Non potrà evitarlo”

“Dici che si rende conto dell’infelicità che proverà entrando in quel ridicolo giro e ciononostante lo farà e non potrà più uscirne?”

“Esatto, maestà. Sei disposto a perdere un eccellente servitore per poter capire la struttura del giro?

“Sì”

“Molto bene. Stanotte verrò a prenderti. Devi avere preparato una borsa di cuoio con dentro novantanove monete d’oro. Non una di più non una di meno”.

Così fu. Quella notte il saggio andò a prendere il re. Insieme si nascosero vicino alla casa del paggio. E lì attesero l’alba.

Nella casa si accese la prima candela. Il saggio legò alla borsa di cuoio un foglietto con un messaggio che diceva:

“Questo tesoro è tuo, è il premio per essere un brav’uomo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato”.

Poi legò la borsa alla porta della casa del servo, bussò e torno a nascondersi. Quando il Paggio uscì, il saggio e il re spiarono le sue mosse da dietro un cespuglio.

Il servitore aprì la borsa, lesse il messaggio, agitò il sacco e, sentendo il suono metallico provenire dall’interno, venne percorso da un brivido, strinse il tesoro contro il petto, si guardò intorno per controllare che nessuno lo osservasse e rientrò in casa.

Dall’esterno si sentì che il domestico stava sbarrando la porta e i due spioni si affacciarono alla finestra per osservare la scena.

Il domestico aveva buttato per terra tutto quello che c’era sopra il tavolo, tranne una candela. Si era seduto e aveva svuotato il contenuto della borsa. I suoi occhi non credevano a quello che stava vedendo: era una montagna di monete d’oro!

Lui che non ne aveva mai toccata nessuna, adesso ne aveva un’intera montagna a sua disposizione. Il paggio le maneggiava tutte e le ammucchiava. Le metteva insieme e le sparpagliata di nuovo facendone tanti mucchietti.

E così, a forza di giocherellare, cominciò a fare dei mucchietti di dieci monete. Un mucchietto di dieci, due mucchietti di dieci, tre mucchietti di dieci, quattro, cinque, sei… E intanto faceva le somme: 10, 20, 30, 40, 50, 60… fino a formare l’ultimo mucchietto… ed era di 9 monete!

Dapprima indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. Poi guardò per terra e alla fine la borsa. “Non è possibile” pensò “sono stato derubato” gridò “sono stato derubato”.

Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche ma non trovò quello che cercava.

Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva 99 monete d’oro. SOLTANTO NOVANTANOVE MONETE.

“Novantanove monete sono tanti soldi” pensò “ma mi manca una moneta, novantanove non è un numero completo” pensava “cento è un numero completo, novantanove no”.

Il re e il suo consigliere guardavano dalla finestra. La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fronte corrugata e i lineamenti irrigiditi.

Il servitore prese carta e penna e si sedette per fare i conti. Per quanto tempo avrebbe dovuto mettere da parte i risparmi per comprarsi la moneta numero 100? Il servo era disposto a lavorare sodo pur di ottenerla, poi magari non avrebbe avuto più bisogno di lavorare.

Con cento monete d’oro un uomo può smettere di lavorare. Con cento monete un uomo è ricco. Con cento monete si può vivere tranquilli.

Finì di fare i suoi conti: se lavorava e metteva da parte il salario e qualche extra, nel giro di 12 anni avrebbe avuto il necessario per comprarsi un’altra moneta d’oro.

“Dodici anni sono tanto tempo però” pensò.

Magari avrebbe potuto chiedere alla moglie di cercarsi un lavoro in paese per un po’ di tempo. E dopotutto lui finiva il lavoro a palazzo alle cinque del pomeriggio, per cui avrebbe potuto lavorare fino a sera e ricevere una paga extra.Magari avrebbe potuto portare in paese il cibo che avanzavano ogni sera e venderlo per poche monete.Vendere, vendere… Perché ci volevano tanti vestiti d’inverno? Perché aveva più paia di scarpe?

Era un sacrificio ma con 4 anni di sacrifici avrebbe guadagnato la sua moneta numero 100.

Il re e il saggio ritornarono a palazzo. Il paggio era entrato nel giro del novantanove.

Nei mesi successivi il servitore seguì i suoi piani così come li aveva concepiti quella notte. Una mattina il paggio entrò nell’alcova reale sbattendo la porta, brontolando e di malumore.

“Che cos’hai?” chiese il re con belle maniere.

“Non ho niente, non ho niente”

“Prima, poco tempo fa, ridevi e cantavi sempre”

“Faccio il mio lavoro, no? Che cosa pretende vostra Maestà? Pretende che faccia anche il buffone?”

Non passò molto tempo che il re licenziò il servitore. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

Tutti quanti siamo stati educati con questa ideologia. Ci manca sempre qualcosa per essere soddisfatti, e soltanto se siamo soddisfatti possiamo godere di quello che possediamo.

Per cui abbiamo imparato che la felicità arriva soltanto quando avremo completato quel che ci manca… e dato che ci manca sempre qualcosa si ricomincia da capo e non riusciamo mai a goderci la vita.


MA


che succederebbe se l’illuminazione accendesse le nostre vite e ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre 99 monete sono il 100% del Tesoro e che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero 100 non è più rotondo del 99.


E’ soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati.


Un tranello per non farci mai smettere di spingere e tutto sarà sempre uguale.


Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono?


Ma attenzione riconoscere che nel 99 sta chiuso un tesoro, non significa che dobbiamo abbandonare i nostri obiettivi. Non vuol dire accettare supinamente qualunque cosa.


Perché è un conto è accettare, un conto è rassegnarsi.


Fonte: “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere” Jorge Bucay. Ed. Rizzoli

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